TRACY DAL MICHIGAN

In una tranquilla mattina a Spearfish, nel North Dakota, ho avuto un incontro inaspettato in un B&B che mi ha lasciato un sorriso e una storia da raccontare. Tracy, una nonna di cinque nipoti con un sesto in arrivo, è una donna che sembra uscita da un film di Woody Allen. Originaria del Michigan, vive sull’altra sponda del lago rispetto a Chicago.

Con uno sguardo un po’ svampito ma curioso, Tracy si aggirava per il B&B cercando di comprendere come fosse possibile che non vi fosse una colazione in un Bed & Breakfast. Questa sua perplessità ha dato il via a una serie di equivoci e domande senza risposta, che hanno finito per aprire un dialogo tra noi. Tracy si è rivelata subito simpatica, autoironica e socievole, una di quelle persone che ti mettono a tuo agio con un sorriso e una battuta.

Il B&B dove abbiamo alloggiato era una classica casa americana, con un patio anteriore, la bandiera a stelle e strisce che sventolava e un’altalena che pendeva sotto il portico. Nel grande giardino c’era un barbecue e lucine che incorniciavano la staccionata, creando un’atmosfera accogliente e rilassata.

Quel giorno, Tracy aveva deciso di prendersi una pausa dalla sua vita di nonna. Aveva deciso di dedicare del tempo a se stessa, allontanandosi per un po’ dai suoi adorati nipoti per fare qualcosa che ama: andare a pescare. In quel breve incontro, mi è sembrato di cogliere uno spiraglio della sua vita, fatta di affetti familiari e momenti di leggerezza. Una donna fuori dall’ordinario che rimane impressa, capace di rendere speciale anche una conversazione casuale in un luogo come Spearfish.

Questa cittadina immersa nel verde mi ha colpita per la sua calma e la bellezza del canyon che bisogna attraversare per raggiungerla. Un luogo perfetto per incontri significativi come quello avvenuto con Tracy..

LA ZIA

Farina, olio, vino bianco e sale quanto basta. Le dita tozze e gonfie, memoria dei panni lavati a mano d’inverno con l’acqua gelida, girano e rigirano l’impasto dei taralli. La farina grumosa attaccata sui polpastrelli, crea dei pallini filanti che si allungano nella distanza tra una mano e l’altra, mentre affondano nella spianatoia adagiata sul tavolo. Quattro gambe scricchiolanti in legno di mogano scuro, sostengono un lungo piano in marmo venato che da tavolo da lavoro, la domenica diventa il perimetro del pranzo della famiglia numerosa di Zia Nannina.
Con il suo vocabolario semplice, il suono della voce che pronuncia “tieni a Zia tua”, La zia, traduce il bene nel gesto di assaggio della marmellata di visciole snocciolate a mano e cotte al sole, dei pomodori lasciati essiccare a pancia in su, delle friselle di pane secco bionde come il grano, dei taralli al finocchietto, delle zucchine fritte croccanti.

Gli ingredienti che utilizza La zia nelle sue ricette, sono ricavati dal lavoro costante e paziente nei campi. La terra per lei è ritratta nel viso arso dal sole, nella carnagione mai pallida di chi vive all’aperto. Accanto a sè la vanga sempre fedele, pronta a smuovere le zolle, come il cane di S. Antonio.

Insomma di quelle contadine che non lasciano la campagna neppure a pagarle.

La Chiana, cosi la chiama lei, è un triangolo di terra a ridosso delle montagne del Matese, dove è proprietaria di una piccola e modesta baracca in legno, che utilizza per riporre gli attrezzi. Appena due passi a destra della piccola casetta, un’aiola di fiori semprevivi che, come ogni anno, recide il primo Novembre per portarli con devozione ai genitori defunti. Da giovane zia Nannina, i capelli lunghi e castani, li portava raccolti in un goffo chignon, che su di lei, che è bassa, sembrava un sacchetto di torba adagiato sul collo.

Ogni tanto fuori dallo chignon si faceva strada una forcina di plastica marrone, che lei prontamente afferrava con il pollice e l’indice, e l’allargava quel giusto che le consentiva di rinfilare la forcina ribelle nel groviglio di capelli e polvere, di capelli e terra, di terra e fili d’erba.

IL RAGAZZO DEL BAR

Con il suo inconfondibile accento spagnolo che trapela da una voce leggermente nasale, il ragazzo del bar accoglie ogni nuovo cliente con un “Che prende?”. Un barista non come gli altri, il suo cervello funziona come una macchina calcolatrice vivente, capace di stupire chiunque con la sua enciclopedica conoscenza delle capitali mondiali, alcune così esoteriche da sembrare inventate.

Ma non è tutto: la sua memoria è un forziere traboccante di aneddoti calcistici, una raccolta così vasta che farebbe impallidire anche il grande commentatore sportivo Paolo Valenti. Nel suo bar, tra un caffè e un cornetto, si possono scoprire storie di partite leggendarie e curiosità sui campioni del pallone.

Sospeso tra i ricordi di Maradona e le partite indimenticabili, il bar è più di un semplice locale: è un tempio dedicato alla passione per il calcio e in particolare per il Pibe de Oro. Ogni angolo è pervaso da una storia, ogni oggetto racconta di un’emozione legata a quel magico numero 10. È impossibile non notare la maglia bianco celeste incorniciata, punto focale della sala the, che attira gli sguardi dei clienti e li invita a condividere aneddoti e ricordi di giocate calcistiche.

Il ragazzo del bar è tifoso dell’Argentina, terra dove è nato e cresciuto fino all’età di 7 anni, e del Napoli per via della parentela naturale delle due squadre, grazie a Maradona.

Il bar è un santuario di souvenir della memoria e souvenir materiali che richiamano la terra del Tango e delle empanadas di carne e mais

Nel faccia a faccia tra il ragazzo del bar e la macchina del caffè, il suo sorriso accogliente e calmo vince. Qui non c’è fretta, non c’è caos: solo la precisione che sembra quasi un tributo al gioco del calcio stesso, così diverso dall’agitazione che trovo al bar della Stazione Termini difronte al Gate B, dove i baristi, sempre di corsa, sembrano non avere mai un attimo di pausa.

Nel suo bar invece, ogni espresso è un piccolo capolavoro, come una giocata di Maradona, da gustare con la stessa lentezza con cui si ammira un gol d’altri tempi.

Il ragazzo del bar si definisce un miracolato, per via della leucemia che in maniera inaspettata lo ha colpito e per via del donatore di midollo di Padova, che lo ha salvato. Un miracolo divino, proprio come il famoso gol di mano di Maradona contro l’Inghilterra, in cui fu “la mano di Dio” a segnare.